Lettera ai Prefetti per riaprire le visite ai parenti nelle RSA

Richiesta incontro . Oltre al Prefetto di Milano, per gli associati che lo hanno richiesto, abbiamo scritto ai Prefetti di: Pavia, Varese, Brescia, Mantova, Como, Bergamo, Monza Brianza, Cremona, Cuneo, Treviso, Vicenza, Genova, Bologna, Terni, Firenze, Roma.

Continua la campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale per contrastare il perdurante e drammatico blocco degli incontri con i parenti nelle RSA. Ci siamo rivolti proprio ai Prefetti in quanto rappresentanti del Governo a livello locale per chiedere un intervento volto a far cessare lo stato di isolamento che da oltre un anno sta creando seri danni alla salute psico-fisica degli anziani e gravi disagi ai familiari. Sono già iniziati gli incontri a distanza con i Prefetti che ci hanno risposto, e altri appuntamenti sono in programma per le prossime settimane. È ora che le istituzioni mettano in agenda le riaperture in sicurezza, troppo lungo è stato il silenzio con danni irreversibili.

Tutto è cambiato, nulla è cambiato. Il punto di vista dei parenti

Intervento del Presidente di Felicita, Alessandro Azzoni, al convegno SPI “RSA – Conoscerle per rinnovarle” del 15/03/2021

Durante questo lungo anno in cui si è consumata la tragedia che ha toccato in modo cosi duro gli anziani, per noi familiari di un  genitore o di un nonno ricoverato nelle RSA molte cose sono cambiate: siamo precipitati in un tunnel di dolore per i morti, di angoscia per i sopravvissuti che sono rimasti isolati, di preoccupazione per la lontananza e l’assenza di notizie, di rabbia e impotenza di fronte al  muro delle istituzioni, di sensi di colpa per una scelta magari obbligata ma presa nella certezza che fosse garantita la protezione del nostro parente. 

E insieme a questo, il cambiamento ha portato anche la maggior conoscenza di un mondo  complesso che fino ad allora ci appariva scontato e naturale.  Abbiamo imparato – dalle analisi degli esperti, dalle inchieste dei media e da ricerche approfondite come questa – a capire i motivi che legano il funzionamento delle RSA, la loro organizzazione e i criteri che ne regolano le scelte con un modello socio-sanitario debole e irrisolto, poco legato ai bisogni delle persone sul territorio.

E ci sembra che l’esperienza tragica di quest’anno stia iniziando a cambiare – grazie anche agli interventi del mondo cattolico –  il pensiero comune su quella cultura utilitaristica che considera la fragilità della vecchiaia qualcosa di marginale da nascondere, una sorta di destino negativo inevitabile da allontanare allo sguardo.        

Della necessità di cambiare il modello delle RSA, da oltre trent’anni considerate la soluzione più efficiente alla perdita di autonomia degli anziani, sono in molti oggi a parlare. 

Ma quello che invece non ci sembra cambiata è la volontà di revisione dei propri criteri gestionali nel mondo RSA, che anzi si è rinchiuso in una trincea difensiva dove la logica dell’autoprotezione (dai rischi legali, dal calo dell’utenza e quindi dei profitti, dalle necessità di riorganizzare i servizi) prevale sull’urgenza di mettere i bisogni degli utenti al centro, salvaguardando i diritti alla cura e a una vita dignitosa degli anziani.

Parliamo in generale, soprattutto delle grandi RSA proprietà di gruppi finanziari, ben sapendo che  ci sono casi di buona volontà sparsi sul territorio. osservando come le diverse R.S.A hanno gestito l’emergenza pandemia ci siamo trovati di fronte a differenti realtà: quelle con una cultura aziendale attenta al benessere organizzativo, dove un management più sensibile ha saputo gestire meglio la situazione ponendo attenzione alla cura senza perdere il senso dell’umanità, e altre strutture pervase da processi di vera e propria disumanizzazione che hanno coinvolto ospiti, lavoratori e parenti. Ed è proprio qui che si segnano i confini e le differenze tra luoghi di cura e organismi produttivi finalizzati a un profitto costruito sullo sfruttamento dei lavoratori  oltre che sulla sofferenza di chi invecchia e delle famiglie.

Ci appare tuttavia evidente che la pandemia, con i suoi esiti terribili,  anziché occasione di riflessione critica, è diventata spesso alibi per difendere gli interessi economici della categoria, alzando un muro nei confronti dell’esterno.

E questo muro difensivo sta danneggiando proprio l’immagine delle RSA stesse, spingendo molti a chiedersi fino a dove può arrivare  un modello di assistenza che pretende di tutelare le persone più fragili come gli anziani e i disabili non-autosufficienti, rinchiudendoli e isolandoli, sacrificandone la libertà e la dignità di essere umani.

A chiedersi, insomma, se può funzionare un modello dove si lascia ai gestori delle strutture facoltà di decidere sulla loro vita. 

E qui veniamo al tema, a nostro parere centrale, quello dell’apertura e della trasparenza di una struttura che fornisce servizi a persone fragili.

Il confine sottile tra l’essere un “contenitore protettivo” e contemporaneamente un “luogo di cura e assistenza aperto” ha portato molte strutture residenziali, a partire dalla prima ondata del Covid, a seguire la strada piú facile: quella di ritenere giustificata una gestione autarchica e impermeabile all’esterno.

A distanza di un anno, nonostante le vaccinazioni agli ospiti e al personale, nonostante le misure di

sicurezza e i tamponi obbligatori per le visite, nulla è cambiato: gli anziani sono tuttora isolati e subiscono gravi danni psicofisici, molti si lasciano andare, perdono l’autonomia, peggiorano le facoltà cognitive. Nonostante questo, tra il rischio possibile di contagio e il danno certo dell’isolamento si preferisce seguire la strada della chiusura.

Il ghetto non è soltanto un luogo circondato da mura invalicabili,  è anche il luogo dell’indifferenza, del disinteresse e dell’abbandono. La qualità della vita – la  vita stessa – non può esistere in un ghetto, e la ghettizzazione delle RSA è oggi la prima causa di  malessere degli ospiti.

Recente è il caso della Presidente di un’associazione che raggruppa le istituzioni per l’assistenza del Trentino,  sfiduciata dal suo CdA per aver deciso la riapertura delle RSA dopo il lungo lockdown che, recludendo gli anziani,  ha creato altrettanti danni del contagio stesso.

Una strada di isolamento I cui danni non incidono solo sul soggetto direttamente colpito, ma anche sugli stessi familiari care-givers che rappresentano il canale privilegiato, spesso l’unico, di rapporto con il mondo esterno.

Il paziente senza famiglia è un paziente indifeso, perché una famiglia attiva alle spalle rende l’ammalato più forte e protetto di fronte alle violenze implicite in un’istituzione totale.

I parenti,  che fino a un attimo prima costituivano una presenza quotidiana utile nella struttura, anche supplendo alle carenze dei servizi di assistenza e alla difficoltà di conoscere e comprendere l’anziano nei suoi bisogni, sono invece diventati per le RSA quasi un nemico, fonte di possibili contagi ma  soprattutto di controllo e di potenziale minaccia.  

Su questo tema, la nostra associazione ha raccolto le testimonianze dei parenti su quanto avveniva a livello nazionale nelle RSA e redatto il Libro bianco sulla normalità negata nelle Rsa ‘Anziani senza famiglia’ che abbiamo consegnato al Presidente della Commissione istituita dal  Ministero della Salute, Monsignor Paglia. 

Si ha l’impressione che anziché considerare come indicatore di buona assistenza l’alleanza terapeutica tra residente, famiglia e operatori, le istituzioni abbiano legittimato l’autarchia gestionale delle RSA rispetto ai controlli esterni.

Il legame tra apertura e trasparenza, tra controllo esterno e qualità del servizio  ci pare invece una variabile fondamentale. Per questo andrebbe reso obbligatoria in ogni Rsa l’istituzione di un  Osservatorio costituito da rappresentanti dei familiari, esperti e operatori, al di fuori degli organismi interni alla struttura, che potrebbe svolgere un ruolo consultivo e propositivo sugli interventi  tecnici e migliorativi sia sulle problematiche di carattere generale che sull’organizzazione dei servizi.

Un punto di riferimento elettivo indipendente, dove i familiari e gli operatori si riconoscono nella funzione di rappresentanza degli interessi comuni e di controllo sul rispetto di diritti e doveri  delle parti.   

Per concludere, non c’è cura né assistenza che non passi dal riconoscimento dell’anziano come individuo portatore di bisogni e di diritti, e dal rispetto della sua dignità di essere umano.

Nelle scelte da compiere va dunque modificato il paradigma che vede gli interventi rivolti agli anziani centrati solo sul trattamento della malattia, in direzione di un’idea di cura che tenga conto dei bisogni globali della persona.

Cruciale, nel futuro delle strutture per anziani sarà quindi la conciliazione protezione e conservazione della qualità di vita, secondo criteri di cautela nel buonsenso, ma anche nel ‘buon cuore’, con uno sguardo di empatia e di pietas.   Perché la sorte degli anziani è il nostro stesso destino, come individui e come società.

Rsa – ora si muore per l’abbandono

Il Giorno – 14.03.21

Il dramma non è finito. Chi è sopravvissuto al coronavirus sta morendo per l’abbandono. Adesso l’emergenza non è più legata ai contagi, ma all’abbandono.

Abbiamo sollecitato le istituzioni a tutti i livelli. Oggi chiediamo al prefetto di Milano, Renato Saccone, di intervenire perché le strutture siano obbligate ad aprire le porte. Rispetto a marzo dell’anno scorso ora ci sono le condizioni per organizzare visite in sicurezza.

Intervista TG5 su indagini al Trivulzio – 31.01.20

La posizione di Felicita, espressa anche dal Presidente Alessandro Azzoni in un servizio del Tg5, sulla richiesta di proroga di sei mesi delle complesse indagini della Procura di Milano.

Siamo fiduciosi che in questo tempo, con l’avvenuto deposito della relazione dei periti, saranno approfondite le reali responsabilità penali relative ai numerosi decessi occorsi la scorsa primavera durante la gestione della pandemia al Pat.

Come abbiamo detto in altre occasioni, la nostra associazione non cerca vendetta ma attende verità certe e giustizia equa per quelle che al momento risultano essere oltre 100 parti offese. A luglio, dopo la presentazione dei risultati della Commissione di verifica Ats, che attribuiva all’assenteismo del personale le responsabilità per le carenze di interventi nella struttura, Felicita indicava – tra le responsabilità della Direzione taciute dalla Commissione – le carenti procedure di sicurezza interne, tra cui l’assenza del Documento Valutazione Rischi, obbligatorio per una corretta gestione dell’emergenza. Dalle notizie emerse risulta che per l’ipotesi del reato per omicidio colposo ed epidemia colposa in seguito proprio alla violazione delle norme di sicurezza e di salute sia indagato il Direttore Generale e la struttura stessa. Se allora, oltre ai decessi per contagio ci furono molte vittime collaterali dovute alle carenze di cure e allo stato di abbandono, oggi sono gli anziani isolati e lontani dai parenti, che si lasciano morire per la solitudine e la depressione a rischiare di aumentare quel numero.

La cultura dello scarto

“Oggi ci troviamo in presenza della cultura dello scarto”, così Papa Francesco nella Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità. Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato un messaggio importante: “La disabilità è spesso, inevitabilmente, legata alla terza e alla quarta età. Questi anziani costituiscono, nella pandemia, una categoria particolarmente a rischio e patiscono molto la solitudine, la mancanza di dirette relazioni con familiari e conoscenti e la fatica nel gestire aspetti concreti della vita quotidiana…Il livello di civiltà di un popolo e di uno Stato si misura anche dalla capacità di assicurare alle persone con disabilità inclusione, pari opportunità, diritti e partecipazione a tutte le aree della vita pubblica, sociale ed economica”. Intanto al Pat ripartono le visite, qui sotto il commento della Vicepresidente di Felicita, Laura Aspromonte.

https://www.ansa.it/sito/videogallery/italia/2020/12/03/trivulzio-riprese-le-visite-ai-parenti-creare-una-stanza-degli-abbracci_4ff1421b-5f57-4cbc-ae4f-99e415460d92.html?fbclid=IwAR2GLLIqBj1Dj5U8RKNS5XGvs9mHsRgjb5mONRAmNwwEnqI_VdOOi5tq6e0

Un riposo negato

“Un riposo negato: Viaggio nelle residenze per anziani”, un ampio reportage di Beba Minna pubblicato su Altroconsumo, dà voce a quasi 4000 familiari, che raccontano l’esperienza, prima e dopo l’emergenza, del loro parente che vive in una Rsa. Tra i problemi di ogni giorno emersi con le strutture: “poca attenzione ai bisogni dei degenti, costi troppo elevati, mesi di attesa per accedere, cibo di scarsa qualità, personale non sempre adeguato, promesse non mantenute.” Il sistema va cambiato mettendo al centro la cura dell’anziano e i familiari devono essere coinvolti di più.

https://www.flipsnack.com/associazionefelicita/rivista-altroconsumo-dicembre-2020.html?fbclid=IwAR3UJkdbpOnEBmyzYsDiL9VAZwK5_aw_3JbzMr4tdztvXiucU4QetnqIVPU

il clima di terrore al Trivulzio

Oggi il Fatto quotidiano dedica un ampio reportage alla vicenda del Trivulzio, per il quale ringraziamo la testata e gli autori. Gad Lerner descrive il clima di terrore e la nuova offensiva intimidatoria in atto nei confronti dei dipendenti “infedeli”, concludendo che “l’ansia da repulisti non favorisce certo una pianificazione trasparente”. Gianni Barbacetto fa il punto sull’inchiesta che avanza e Andrea Sparaciari, nel suo articolo “La Regione nega all’associazione Felicita l’accesso a 1400 allegati” mette in luce le difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno per ricercare la verità e portare avanti la nostra battaglia.Qui il testo dell’articolo. Un frustrante muro di gomma. È quello contro il quale stanno sbattendo l’Associazione delle vittime del Pio Albergo Trivulzio, Felicita, e i giornalisti del Fatto. Da mesi, infatti, si susseguono le richieste di accesso agli atti presentate a Regione Lombardia per ottenere i circa 1400 allegati – rimasti a tutt’oggi segreti – che sono stati la base della relazione redatta dalla “Commissione di verifica gestione emergenza Covid-19 presso il Pio Albergo Trivulzio” del luglio scorso. Una relazione sostanzialmente assolutoria nei confronti dei vertici della Rsa. Richieste alle quali il Pirellone, per bocca del Dg della Direzione Generale Welfare, Marco Trivelli, ha risposto sempre nello stesso modo. Al Fatto, il 4 novembre scorso ha scritto: “La informo che, a scopo cautelativo, prima di dar seguito alla Sua istanza, abbiamo chiesto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano se sussistano motivi di riservatezza relativi alle indagini penali in corso che non consentano l’ostensione della documentazione richiesta”.Una risposta interlocutoria, un “né sì, né no”, che paralizza ogni possibilità di sapere cosa effettivamente sia successo tra marzo e aprile al Trivulzio in nome di un supposto segreto istruttorio. Una palla calciata in tribuna, che scarica sulla Procura – la quale sta indagando sulla strage di anziani avvenuta nella più grande Rsa d’Italia – l’onere della trasparenza. Ad agosto scorso, invece, l’Ats Milano Città Metropolitana aveva negato i documenti, motivando il rifiuto con un eccessivo lavoro “per l’amministrazione, tale da compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa e ledere la funzionalità degli uffici coinvolti”.Così quegli allegati, che raccontano i fatti come sono accaduti, sono stati e restano negati. Nonostante fossero documenti pubblici, prima dell’apertura dell’inchiesta. O almeno lo sono diventati nel momento in cui è divenuta pubblica la relazione finale della Commissione, diffusa però solo grazie a un altro accesso agli atti, sempre promosso dai parenti delle vittime. Una relazione divulgata monca, priva dei documenti utilizzati per redigerla.Per Regione Lombardia, quanti hanno perso una madre, un padre o una nonna, nella prima ondata, si sarebbero dovuti accontentare delle conclusioni scritte dalla Ats Milano – cioè dall’ente dal quale il Pat dipendeva e che il Pat doveva controllare -, che, in estrema sintesi, ha indicato nell’assenteismo dei dipendenti la causa principale dei tanti decessi. Una verità “semplice” (basata sull’allegato 16), alla quale i parenti si oppongono da mesi.Anche la procura, ad una prima richiesta di pubblicità dei legali di Felicita, aveva risposto negativamente. Ma si trattava di agosto scorso. Ora le indagini sono andate avanti e forse è arrivato il momento per alzare il velo. Una cosa è sicura: parenti e giornalisti continueranno a chiedere i documenti con ogni mezzo legale necessario.

https://www.flipsnack.com/associazionefelicita/il-fatto-quotidiano-12-novembre-2020.html

200 mila mascherine non omologate al Pat

La notizia riportata da alcuni media relativa alla distribuzione al personale del Pat di ben 200 mila mascherine non omologate per l’uso sanitario, e quindi non a norma di sicurezza e utilizzate da personale all’interno della struttura, è un fatto gravissimo che non ci può lasciare tranquilli riguardo la situazione degli anziani ospiti. Questo a maggior ragione dopo la notizia recente della scoperta di un focolaio di 64 operatori positivi nella struttura, per quanto poi smentita affermando che si trattava di campioni contaminati, vale a dire di “falsi positivi”. Alla preoccupazione da noi già espressa subentra ora angoscia e grande sconcerto nell’ipotesi che la Direzione non abbia fatto tesoro della tragica esperienza della scorsa primavera, e abbia trascurato una norma di protezione minima quale la dotazione di mascherine adeguate al personale, a fronte invece delle rigidissime restrizioni negli incontri con i parenti che hanno creato in questi mesi disagi e sofferenza ad anziani e familiari. Suonano sbalorditive le affermazioni del Prof. Pregliasco che ha minimizzato l’accaduto, dicendo che la presenza di materiale sanitario “non idoneo” in una struttura sanitaria è un evento “che può capitare”. Riteniamo che la protezione di persone affidate per la loro fragilità ad una struttura responsabile della sicurezza loro e del personale curante sia un compito che non puó e non deve essere svolto con simile leggerezza. Ci chiediamo inoltre: le mascherine sono state ritirate dalla circolazione interna su segnalazione del personale infermieristico? E ancora: da dove veniva quella fornitura? Per quanto tempo sono state usate liberamente nonostante recassero la scritta “non medical”? E in ultimo: in quali altre Rsa lombarde sono arrivate? Chi è preposto risponda. Subito.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/09/milano-al-pio-albergo-trivulzio-ritirate-200mila-mascherine-non-a-norma-da-un-nuovo-screening-sono-13-gli-operatori-positivi/5997783/?fbclid=IwAR0ehtmq2Ak5eOg1lNK4sms02B8PbT3arnnPpg-D22WE_q5xHk7tg0Cb0U4