Oggi il Fatto quotidiano dedica un ampio reportage alla vicenda del Trivulzio, per il quale ringraziamo la testata e gli autori. Gad Lerner descrive il clima di terrore e la nuova offensiva intimidatoria in atto nei confronti dei dipendenti “infedeli”, concludendo che “l’ansia da repulisti non favorisce certo una pianificazione trasparente”. Gianni Barbacetto fa il punto sull’inchiesta che avanza e Andrea Sparaciari, nel suo articolo “La Regione nega all’associazione Felicita l’accesso a 1400 allegati” mette in luce le difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno per ricercare la verità e portare avanti la nostra battaglia.Qui il testo dell’articolo. Un frustrante muro di gomma. È quello contro il quale stanno sbattendo l’Associazione delle vittime del Pio Albergo Trivulzio, Felicita, e i giornalisti del Fatto. Da mesi, infatti, si susseguono le richieste di accesso agli atti presentate a Regione Lombardia per ottenere i circa 1400 allegati – rimasti a tutt’oggi segreti – che sono stati la base della relazione redatta dalla “Commissione di verifica gestione emergenza Covid-19 presso il Pio Albergo Trivulzio” del luglio scorso. Una relazione sostanzialmente assolutoria nei confronti dei vertici della Rsa. Richieste alle quali il Pirellone, per bocca del Dg della Direzione Generale Welfare, Marco Trivelli, ha risposto sempre nello stesso modo. Al Fatto, il 4 novembre scorso ha scritto: “La informo che, a scopo cautelativo, prima di dar seguito alla Sua istanza, abbiamo chiesto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano se sussistano motivi di riservatezza relativi alle indagini penali in corso che non consentano l’ostensione della documentazione richiesta”.Una risposta interlocutoria, un “né sì, né no”, che paralizza ogni possibilità di sapere cosa effettivamente sia successo tra marzo e aprile al Trivulzio in nome di un supposto segreto istruttorio. Una palla calciata in tribuna, che scarica sulla Procura – la quale sta indagando sulla strage di anziani avvenuta nella più grande Rsa d’Italia – l’onere della trasparenza. Ad agosto scorso, invece, l’Ats Milano Città Metropolitana aveva negato i documenti, motivando il rifiuto con un eccessivo lavoro “per l’amministrazione, tale da compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa e ledere la funzionalità degli uffici coinvolti”.Così quegli allegati, che raccontano i fatti come sono accaduti, sono stati e restano negati. Nonostante fossero documenti pubblici, prima dell’apertura dell’inchiesta. O almeno lo sono diventati nel momento in cui è divenuta pubblica la relazione finale della Commissione, diffusa però solo grazie a un altro accesso agli atti, sempre promosso dai parenti delle vittime. Una relazione divulgata monca, priva dei documenti utilizzati per redigerla.Per Regione Lombardia, quanti hanno perso una madre, un padre o una nonna, nella prima ondata, si sarebbero dovuti accontentare delle conclusioni scritte dalla Ats Milano – cioè dall’ente dal quale il Pat dipendeva e che il Pat doveva controllare -, che, in estrema sintesi, ha indicato nell’assenteismo dei dipendenti la causa principale dei tanti decessi. Una verità “semplice” (basata sull’allegato 16), alla quale i parenti si oppongono da mesi.Anche la procura, ad una prima richiesta di pubblicità dei legali di Felicita, aveva risposto negativamente. Ma si trattava di agosto scorso. Ora le indagini sono andate avanti e forse è arrivato il momento per alzare il velo. Una cosa è sicura: parenti e giornalisti continueranno a chiedere i documenti con ogni mezzo legale necessario.
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